Il Professore : ... ... Giova ricordare , peraltro , IL Che Personaggio Il proprietario del bene confiscato , in partiture OCCASIONE delle elezioni sosteneva Amministrativo Il Candidato della lista "Rinascita Isolana " Rosario Rappa .

domenica 10 luglio 2011

Quella donna dietro Bisignani

Tremonti: "Una stupidata quella casa
ci andai perché mi sentivo spiato"

Le spiegazioni offerte dal ministro sulla discussa offerta di Milanese colpiscono l'intero sistema di potere berlusconiano. Il titolare del Tesoro temeva di essere vittima di una guerra tra bande dentro la Finanza. "In caserma non ero tranquillo: ero controllato, pedinato". "Chi parla di evasione fiscale è in malafede: posso dimostrare l'assoluta regolarità del mio comportamento"

di MASSIMO GIANNINI

"LO RICONOSCO. Ho fatto una stupidata. E di questo mi rammarico e mi assumo tutte le responsabilità. Ma in quella casa non ci sono andato per banale leggerezza. Il fatto è che prima ero in caserma ma non mi sentivo più tranquillo. Nel mio lavoro ero spiato, controllato, pedinato. Per questo ho accettato l'offerta di Milanese...". Finalmente, dopo lunghi giorni di imbarazzi e di silenzi, ecco la versione di Giulio Tremonti, al culmine di un assedio che lo vede all'angolo da un mese, e che rischia di farlo cadere da un giorno all'altro. Non una banale giustificazione "tecnica". Ma una brutale ricostruzione politica che, se autentica, tocca il cuore del sistema di potere berlusconiano.

Il "partito degli onesti" è un grumo di malaffari pubblici e di rancori privati. Un ministro dell'Economia, che ha appena imposto agli italiani una stangata da 48 miliardi di euro, si può pagare l'affitto di casa in nero? In quale altra democrazia occidentale sarebbe pensabile un simile cortocircuito etico e politico? Impensabile, insostenibile.

E infatti Tremonti è nell'occhio del ciclone. Non solo le rivelazioni che si inseguono ogni giorno, dalle carte dell'inchiesta sulla P4 e sull'Enav. Non solo le opposizioni che chiedono conto, rimpallando sul centrodestra una "questione morale" che si vorrebbe invece intestata al solo centrosinistra. Ma anche il "fuoco amico" del Pdl, con Berlusconi che non risparmia i veleni, i suoi "volenterosi carnefici" che si prodigano a mescolarli
e i giornali di famiglia che non smettono di inocularli nel circuito politico-mediatico.
Da settimane sulla graticola, Tremonti tenta ora di passare al contrattacco. Di cose da chiarire ce ne sono tante. Basta rileggere le ordinanze dei giudici e dei pm. Tra il ministro e il deputato del Pdl "c'è uno stretto e attuale rapporto fiduciario che prescinde dal ruolo istituzionale rivestito da Milanese": lo scrive il pm di Napoli Vincenzo Piscitelli. "Assolutamente poco chiari i rapporti finanziari tra Tremonti e Milanese": lo scrive il gip di Napoli, Amelia Primavera. E dunque: perché il ministro decise di andare ad abitare nella casa per la quale Milanese versava al Pio Sodalizio un canone d'affitto di 8.500 euro al mese? E perché Tremonti, su questo canone mensile, ha pagato una quota di 4 mila euro, in contanti?

"La cosa più giusta è quella che ha detto Bossi  -  osserva adesso il ministro, chiuso nel suo ufficio di Via XX Settembre - ho fatto una stupidata, e di questo mi assumo la responsabilità di fronte agli italiani". È stata dunque una "leggerezza", aver accettato la proposta di un suo collaboratore: usare il suo appartamento per le trasferte nella Capitale. Tremonti rimanda al suo comunicato del 7 luglio, quando provò a troncare sul nascere l'ennesimo "ballo del mattone" che fa vacillare il Pdl, dallo scandalo Scajola in poi. "La mia unica abitazione è a Pavia. Mai avuto casa a Roma. Per le tre sere a settimana che da più di 15 anni trascorro a Roma, ho sempre avuto soluzioni temporanee, in albergo o in caserma. Poi ho accettato l'offerta dell'onorevole Milanese. Da stasera, per ovvi motivi di opportunità, cambierò sistemazione". Questo diceva Tremonti, un mese fa. Ora ha cambiato sistemazione, appunto. Ma resta sulla sua coscienza la consapevolezza di aver commesso, appunto, "una stupidata". Comunque grave. Gravissima per un ministro.
Nonostante questo, Tremonti non accetta di passare per un disonesto o un evasore fiscale. "Chi parla di evasione fiscale è in malafede. Questa accusa non la posso accettare. Sono in grado di dimostrare in modo tecnicamente e legalmente indiscutibile l'assoluta regolarità del mio comportamento, e del mio contributo alle spese di quell'affitto". Non lo toccano le nuove carte uscite dall'inchiesta Enav, né la ricostruzione dell'imprenditore Tommaso Di Lernia, secondo il quale l'affitto della casa non lo pagava Milanese, ma un altro imprenditore, Angelo Proietti, che in cambio otteneva sub-appalti. "È una storia di cui non so nulla  -  commenta il ministro - non conosco quell'imprenditore indagato, non so nulla del contesto nel quale ha raccontato quei fatti".

Ma la novità clamorosa, che emerge dallo sfogo di Tremonti sull'intera vicenda, non riguarda tanto le spiegazioni "formali" sulla quota d'affitto versata a Milanese, quanto piuttosto le ragioni "sostanziali" che lo spinsero ad accettare il "trasloco". Tra le righe, il ministro accenna qualcosa, proprio nel primo comunicato del 7 luglio. "Per le tre sere a settimana che da più di 15 anni trascorro a Roma, ho sempre avuto soluzioni temporanee, in albergo o in caserma. Poi ho accettato l'offerta dell'onorevole Milanese...". Questo è il punto cruciale. Per molti anni, e per l'intera legislatura 2001-2006 in cui è ministro, Tremonti dorme "in albergo o in caserma". Ma a un certo punto, dal febbraio 2009, decide di "accettare l'offerta dell'onorevole Milanese". Cosa lo spinge a farlo? Non il risparmio. Anzi, l'appartamento di Via Campo Marzio gli costa, mentre l'albergo lo paga il ministero, e la caserma la paga la Guardia di Finanza. E allora? Perché Tremonti decide di traslocare?
"La verità è che, da un certo momento in poi, in albergo o in caserma non ero più tranquillo. Mi sentivo spiato, controllato, in qualche caso persino pedinato...". Eccolo, il "movente" che il ministro alla fine rende pubblico, dopo oltre un mese di tiro al bersaglio contro di lui. Ecco la "bomba", che Tremonti fa esplodere nel nucleo di uno scandalo che non è suo (o almeno non solo suo) ma semmai dell'intero sistema di potere berlusconiano. L'aveva fatto capire lui stesso, il 17 giugno scorso, nel colloquio con il pm Piscitelli che lo aveva ascoltato come testimone. In quell'occasione Piscitelli fa sentire al ministro un'intercettazione telefonica (registrata nell'inchiesta sulla P4 di Bisignani) tra Berlusconi e il Capo di Stato Maggiore Michele Adinolfi. Ed è allora che  -  come si legge nell'ordinanza  -  "il ministro riferisce dell'esistenza di "cordate" nella Guardia di Finanza, che si sono costituite in vista della nomina del prossimo Comandante Generale, precisa come alcuni rappresentanti di quel Corpo siano in stretto contatto con il presidente del Consiglio".

Dunque, nella guerra per bande dentro la GdF, Tremonti sa da tempo di essere nel mirino di una "banda". In particolare, di quella che riferisce direttamente al premier. Lo dice lui stesso a Berlusconi, in un colloquio di cui parla proprio il generale Adinolfi, a sua volta interrogato da Piscitelli il 21 giugno (quattro giorni dopo il ministro). "Berlusconi  -  racconta il generale  -  mi mandò a chiamare, dicendomi che Tremonti gli aveva fatto una "strana battuta" allusiva, paventando che tramassi ai danni del ministro. Chiamò Tremonti davanti a me e lo rassicurò". Evidentemente quelle rassicurazioni non servono a nulla. "Vittima" di questa guerra per bande fin dal 2009, quando cominciano i primi dissapori interni alla maggioranza e il Cavaliere comincia a sospettare degli "inciuci" tremontiani con la Lega e delle sue mire successorie dentro il Pdl, il ministro dell'Economia non si sente "tranquillo". Al contrario, si sente "spiato". E ora lo dice, apertamente: "In tutta franchezza, non me la sentivo più di tornare in caserma. Per questo, a un certo punto, ho accettato l'offerta di Milanese. L'ospitalità di un amico, presso un'abitazione che non riportava direttamente al mio nome, mi era sembrata la soluzione per me più sicura".

Una scusa estrema, e tardiva, di un uomo disperato? Difficile giudicare. Ma questa è la ricostruzione di Tremonti. Se è vera, siamo al nocciolo duro del "metodo di governo" berlusconiano, che incrocia le P3 e le P4, la Struttura Delta e la "macchina del fango", gli apparati dello Stato e il malaffare economico. "Non accetterò che si usi contro di me il metodo Boffo", ha detto il ministro al Cavaliere, in un drammatico faccia a faccia dei primi di giugno, quando gli apparati del premier lo lavoravano ai fianchi, per convincerlo a dimettersi. Forse siamo ancora dentro quel film. Se è così, è più brutto e più serio della pur imperdonabile "stupidata" di Tremonti.
(28 luglio 2011) Fonte la Repubblica 

Finmeccanica, fondi neri inchiesta interna di Enav
INTERESSI OCCULTI dietro all'installazione del radar a Isola delle Femmine? 




"A Milanese 10mila euro al mese per pagare la casa di Tremonti"

Le rivelazioni dell'imprenditore Di Lernia nell'indagine Enav. Secondo il teste il ministro sarebbe stato ricattato per la conferma di Guaraglini a Finmeccaninca


di CARLO BONINI e MARIA ELENA VINCENZI
                                                                 
ROMA - Dal carcere, dove è precipitato con l'accusa di corruzione nell'inchiesta sugli appalti Enav e finanziamento illecito per aver acquistato lo yacht da 24 piedi di Marco Milanese, un uomo racconta a verbale una "verità de relato" capace, se riscontrata, di travolgere il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. L'uomo è Tommaso Di Lernia (nel giro, lo chiamano "er cowboy"). È un ex muratore che si è fatto imprenditore edile e che si trova al crocevia di tre vicende annodate tra loro: Finmeccanica, gli appalti Enav, i rapporti incestuosi tra l'ex consigliere politico del ministro e imprenditori corrotti. Il suo racconto svela tre circostanze. La prima: l'affitto della casa abitata dal ministro in via di Campo Marzio, era pagato non da Marco Milanese ma da un imprenditore, Angelo Proietti, che in cambio avrebbe ricevuto subappalti in Enav. Lo stesso che quella casa aveva ristrutturato gratuitamente e che è oggi accusato di corruzione per gli appalti ottenuti dalla sua impresa, la "Edilars", con Sogei (società pubblica partecipata al 100 per cento dal Tesoro). La seconda: Tremonti venne ricattato da Lorenzo Cola, uomo del Presidente di Finmeccanica, perché fosse costretto a riconfermare Pierfrancesco Guarguaglini al vertice della holding e la pressione decisiva fu il "dossier" che Cola aveva sulla compravendita della barca di Milanese, sull'affitto della casa, e "sulle sue altre porcate". La terza: Di Lernia
chiese a Milanese una pressione sull'Agenzia delle Entrate perché ammorbidisse la verifica sulla sua società "Print Sistem".

"Ho deciso di parlare"
Il verbale, dunque. È l'11 luglio e alle 13 e 10, nel carcere di Regina Coeli, Di Lernia compare di fronte al gip Anna Maria Fattori per il suo interrogatorio di garanzia. Di Lernia è accusato di corruzione e frode fiscale nell'inchiesta condotta dai pm Paolo Ielo e Giancarlo Capaldo sugli appalti Enav. Nella ricostruzione dell'accusa, la sua società, la "Print sistem" è infatti lo snodo cruciale del Sistema di appalti e corruzione con cui, attraverso un gioco di sovrafatturazioni, la "Selex Sistemi integrati" (Finmeccanica) di Marina Grossi, per la quale Di Lernia lavora in subappalto, è riuscita a creare fondi neri necessari a corrompere il management dell'Ente e i suoi referenti politici. Ma l'11 luglio, Di Lernia ha un nuovo problema. Una seconda ordinanza di custodia cautelare, chiesta e ottenuta dal pm Ielo, lo accusa di aver acquistato nel 2010 lo yacht di Marco Milanese a condizioni capestro che ne svelano le vere ragioni. Convincere l'allora consigliere politico di Tremonti a pilotare la nomina di Fabrizio Testa al vertice di Technosky (società di Enav). È una nuova mazzata che convince Di Lernia a uscire dal suo silenzio. A scrivere e consegnare al magistrato che lo interroga un memoriale (che gli guadagnerà, di lì a qualche giorno, gli arresti domiciliari). "L'indagato - annota il gip - acconsente a rispondere alle domande, consultando degli appunti che vengono sottoscritti e allegati al presente verbale".

"Milanese, Proietti, la casa di Tremonti"
Di Lernia conferma di aver acquistato lo yacht di Milanese. Le ragioni per cui l'operazione si fece: risolvere un problema al consigliere del ministro, piazzare Testa in "Technosky". Ma, spiega, la sua non fu una scelta, ma l'obbedienza dovuta a un uomo cui doveva tutto: Lorenzo Cola, il "facilitatore" di Pierfrancesco Guarguaglini, che, per conto di Finmeccanica, governa appalti e subappalti in Enav. "Cola - dice Di Lernia - non mi volle dire chi era il proprietario della barca. Mi disse solo che l'ordine era arrivato dal Palazzo, intendendo Finmeccanica nella persona del Presidente, e dunque che non mi sarei potuto sottrarre. A Cola non si poteva dire di no, e quindi gli chiesi dove avrei dovuto prendere il milione e mezzo di euro per l'acquisto della barca. Lui mi rispose: "Tirali fuori dagli utili che hai dal lavoro che ti diamo"". Quando Di Lernia scopre che il venditore è Marco Milanese, il nome non gli dice nulla. "Confesso la mia stupidità. Poi, tempo dopo, di Milanese mi parlò Cola. Mi disse che era uno che "capiva poco" e "mangiava tanto". Che era "un problema per Tremonti", una sorta di inconveniente imbarazzante". Di Lernia impara a conoscere Milanese, ma, soprattutto ne afferra un segreto. "Sentii parlare di Milanese da Guido Pugliesi, amministratore delegato di Enav. Mi disse che era stanco delle pressioni di Milanese per Testa a "Technosky", ma mi chiese contestualmente di dare lavoro a un certo Angelo Proietti per i subappalti all'aeroporto di Palermo, un lavoro per il quale Cola aveva già deciso che l'affidamento fosse dato alla "Electron", del gruppo Finmeccanica, e al sottoscritto". Perché far lavorare questo Angelo Proietti e la sua "Edilars" nei subappalti Enav? Di Lernia non se lo spiega. Ne chiede conto a Cola. "Mi disse che di Proietti gli aveva parlato Milanese, descrivendolo con queste parole: "È il tipo che mi dà solo 10 mila euro al mese per pagare l'affitto a Tremonti". Aggiunse di dire a Pugliesi di stare tranquillo perché lo avrebbe fatto chiamare da Milanese e comunque aggiunse che, in un immediato futuro, Selex avrebbe dato a Proietti dei lavori a Milano".

Il ricatto a Tremonti. "Un blitz per ricordargli le porcate"
A giugno del 2010, accade dell'altro. "Mi chiamò Cola e mi spiegò di essere dispiaciuto per avermi fatto acquistare la barca. Mi disse: "Quel verme di Milanese sta sostenendo la candidatura di Flavio Cattaneo a Finmeccanica, invece di Guarguaglini. In più, ho saputo che ha fatto delle estorsioni a delle persone a Napoli. E Tremonti non risponde al telefono a Guarguaglini"". A Di Lernia, Cola confida qualcosa di più, che è pronto a usare anche la storia della "barca" e della casa per vincere la partita su Finmeccanica: "Cola aggiunse che questa storia non la mandava giù e dunque avrebbe organizzato un blitz dal ministro (Tremonti) per mostrargli l'evidenza e la portata delle porcate commesse da lui e dai suoi consiglieri. Che di sicuro avrebbe cambiato idea sui vertici di Finmeccanica. Tanto è vero che poco tempo dopo, Milanese mi fece sapere per il tramite di Testa che Guarguaglini sarebbe stato riconfermato. E fu Cola, poi, a dirmi che il blitz era andato a segno".

"Ammorbidire l'accertamento fiscale"
Di Lernia incontra Proietti nell'estate 2010 perché, dopo l'arresto di Cola (8 luglio), è diventato lui il suo "canale" con Milanese. Una prima volta lo incrocia in Enav, nell'ufficio di Pugliesi, che lo convoca per sollecitarlo "a chiudere l'acquisto della barca". Una seconda volta, in piazza del Parlamento, per risolvere un suo "problema". "Portai a Proietti un incartamento riguardante un accertamento dell'Agenzia delle Entrate per il 2005. Gli dissi che volevo "una parola buona" con l'Agenzia, di cui temevo l'accanimento. Tre giorni dopo, Proietti mi diede appuntamento in piazza del Parlamento e mi disse di stare tranquillo perché Milanese aveva interceduto con Attilio Befera (direttore dell'Agenzia)". Ma, a dire di Di Lernia, in senso opposto. "Mi hanno fatto una multa di 18 milioni di euro. Roba carnevalesca. Milanese deve essere intervenuto al contrario, proprio per dimostrare che non esistevano connessioni".

 

 

 

 

 

 



Milanese e le pressioni sui testimoni

«Sulle nomine dovete negare tutto»

Il capo di gabinetto dell'Economia:  così il deputato distribuiva incarichi

Le carte / I verbali

Milanese e le pressioni sui testimoni

«Sulle nomine dovete negare tutto»

Il capo di gabinetto dell'Economia:
così il deputato distribuiva incarichi
ROMA - La conferma più diretta e autorevole che l'onorevole Marco Milanese - consigliere politico di Giulio Tremonti fino a due settimane fa, oggi destinatario di una richiesta d'arresto per corruzione, associazione a delinquere e altri reati - fosse il regista delle nomine nelle aziende a partecipazione statale, viene dal vertice stesso del ministero dell'Economia. Il capo di gabinetto di Tremonti, Vincenzo Fortunato, l'11 gennaio scorso ha parlato al pubblico ministero napoletano Piscitelli sia del ruolo dell'ex ufficiale della Guardia di finanza asceso al fianco del ministro, sia del meccanismo che conduce alla spartizione delle cariche decise dal suo dicastero.

LE NOMINE DI PROVENIENZA «POLITICA» - «Milanese si occupa dell'attività politica del ministro in senso ampio... - ha spiegato Fortunato -. Ha seguito, per conto del ministro, le nomine nelle società di primo livello le cui azioni sono detenute dal ministero-dipartimento del Tesoro; fra essi rientrano Eni, Enel, Anas, Fs, Poligrafico dello Stato, Sogei, Finmeccanica, Fincantieri, Enav ed altre». L'indicazione dei rappresentanti del ministero rientra fra le attività di indirizzo politico indicate dalla legge, continua il capo di gabinetto. E chiarisce che la «provenienza» delle designazioni è «in parte interna al dipartimento e in parte di provenienza "politica". In particolare la scelta di questi ultimi era il frutto di una mediazione tra le diverse componenti politiche della coalizione di governo, e spesso anche della concertazione con altri ministeri».
Il capo della settima Direzione del dipartimento del Tesoro, Francesco Parlato, ha riferito al magistrato la procedura per le nomine. Dopo un appunto del suo ufficio al ministro, «si apre una fase di ricerca da parte dell'organo politico per l'individuazione e condivisione dei nominativi, all'esito della quale il ministro fa pervenire le sue indicazioni». L'incarico di comunicarle «viene svolto dal maggio 2008 dall'onorevole Marco Milanese... Tutte queste nomine sono state seguite dall'onorevole Milanese».
Anche per quelle di «secondo livello» - un migliaio di cariche nelle società controllate dagli Enti pubblici che dovrebbero avvenire "piena autonomia" -, secondo Parlato la prassi è che avvengano «contatti preventivi e informali tra gli amministratori delle società capigruppo e gli organi di governo o di riferimento politico». E siccome Milanese s'interessava delle nomine superiori, «è presumibile, ma si tratta di una mia congettura, che i capi azienda abbiano fatto riferimento anche a lui per questa evenienza».
L'unico che non conosceva questa attività del consigliere di Tremonti sembra essere il segretario di Milanese, Paolo Iannariello, indagato nella stesso procedimento che riguarda il suo capo: «Non mi risultano competenze particolari attribuite al Milanese; non mi risulta che lo stesso segua le nomine di competenza del ministro nelle società partecipate».
 
 «MILANESE MI HA AIUTATO» - Ma il problema, secondo l'accusa, non è tanto la regia nell'attribuzione degli incarichi, quanto il fatto che Milanese avrebbe «venduto» almeno una parte di essi, in cambio di denaro o altre utilità. Per esempio quelli di Guido Marchese e Carlo Barbieri (commercialista e sindaco di Voghera), messi agli arresti domiciliari dal giudice di Napoli, che nell'ambito di una complicata e inusuale operazione di compravendita di una villa in Costa Azzurra, avrebbero fatto avere al deputato-designatore almeno centomila euro.
Ascoltato come testimone in due occasioni, al secondo interrogatorio Marchese - seduto su varie poltrone fra cui quelle dei collegi sindacali di Ansaldo Breda, Oto Melara, Ansaldo Energia, Sogin e Sace per circa centomila euro all'anno - ha ammesso l'intervento di Milanese: «Sono stato aiutato come tutti in questo genere di cose, e ho chiesto e ottenuto l'appoggio di Milanese certamente per il mio incarico in Ansaldo Breda, nella Oto Melara e certamente anche nella Sogin e anche nella Sace». Il pubblico ministero domanda come ha saputo dell'intervento di Milanese, e Marchese risponde: «Dopo le mie richieste è stato lui a dirmi di aver segnalato il mio nominativo alle diverse società controllate dal ministero, tra le quali quelle di Finmeccanica... Mi risulta che anche Barbieri abbia ottenuto un incarico nel consiglio di amministrazione di Federservizi (società controllata dalle Ferrovie dello Stato, ndr ) per intervento del Milanese».
La deposizione con le ammissioni di Marchese non è stata del tutto tranquilla, dopo che il pm Piscitelli gli ha contestato di aver taciuto, nel precedente interrogatorio, un incontro con Milanese prima di presentarsi al magistrato. «Non avevo capito la domanda, le chiedo scusa», s'è giustificato il testimone. Divenuto indagato anche in virtù delle telefonate intercettate dalla Digos di Napoli in cui s'intuiscono la preoccupazione e l'attivismo di Milanese proprio per le testimonianze di Marchesi, Barbieri e un'altra persona coinvolta nella compravendita della villa in Costa Azzurra, l'agente immobiliare Sergio Fracchia.

«DEVONO NEGARE TOTALMENTE» - Il 20 gennaio scorso, vigilia della prima convocazione di Marchese e Barbieri, la polizia ha registrato una conversazione tra Barbieri e Fracchia, il quale - dopo aver chiesto se la linea era «a posto» e «pulita», nel senso di non intercettata - si lancia: «Allora, ho sentito il mister... da specificare bene, alle domande che faranno, che sicuramente chiederanno perché avete comprato queste... E ha detto "è un amico comune che ci ha fatto prendere, perché noi avevamo già fatto delle operazioni immobiliari in Francia, c'era un affare e l'abbiamo fatto". Perché dove andranno a puntare, mi ha detto l'amico, è se avete fatto questo in cambio di qualche cosa... Di qualche nomina... negare totalmente».
Barbieri sembra acconsentire («Non è vero, non è vero») e Fracchia insiste: «Esatto, poi se picchiano sulla villa, da dire sempre per un discorso di investimento (...) Mi raccomando perché... mi ha chiamato quattrocento volte». Investigatori e inquirenti sono certi, per i riscontri con altri atti d'indagine, che «il mister» altri non sia che Marco Milanese, inquieto per l'inchiesta in corso.
Due giorni prima del secondo interrogatorio di Marchese, Milanese richiama Fracchia: «Gli dici se magari da un telefono pubblico o da una cabina, più tardi, anche domani, mi dà un colpo di telefono, così gli dico un po'. Perché tanto... loro vogliono battere sulla faccenda nomine... son matti, ragazzi...». Timoroso di essere ascoltato, il deputato avverte che Marchesi deve chiamarlo da telefoni non suoi, e i numeri controllati non registrano altri colloqui sul tema: a dimostrazione, annota la polizia, «che le successive comunicazioni sono avvenute attraverso canali per loro sicuri».
Il 4 febbraio anche Fracchia viene ascoltato dagli investigatori sulla compravendita della villa, e tre ore prima Milanese lo chiama: «Tutto a posto comunque, sì?», domanda. «Sto andando adesso», risponde Fracchia. E Milanese incalza: «Ricordati di dire che loro l'avevano comprata perché avevano il cliente. (...) Se ti dicono qualcosa, nomine non nomine, non sai un cazzo. Dici "ma che dici?", poi basta».
GLI ACCERTAMENTI SULLA FINANZA
L'indagine della Procura di Napoli prosegue sul fronte delle nomine gestite da Milanese ma anche sui suoi rapporti all'interno delle Fiamme gialle, di cui ha fatto parte fino al congedo di sette anni fa e nelle quali ha mantenuto saldi legami. Lo stesso giudice che ne ha chiesto l'arresto ha ricordato come l'inchiesta debba «individuare gli esponenti della Guardia di finanza che hanno comunicato al Milanese o a persone a lui vicine le notizie relative alle investigazioni», che poi il deputato «rivendeva» agli inquisiti. Come l'imprenditore Paolo Viscione, al quale Milanese comunicò che era intercettato il giorno stesso in cui erano cominciate le operazioni di ascolto. Viscione ha raccontato che un giorno il consigliere di Tremonti gli fece vedere perfino le trascrizioni delle conversazioni registrate, intimandogli di non parlare più al telefono. Da quale «talpa» siano arrivate notizie e carte, è uno dei misteri da svelare.
11 luglio 2011 19:35

Fonte il Corriere

 P4, tutti i segreti di Milanese in cinque cassette di sicurezza

Per aprire quei depositi servirà l'autorizzazione da parte della Camera dei deputati. L'ex finanziere "mediatore" per gli affari della Sogei. Sotto osservazione anche l'affitto di altri immobili del Pio sodalizio dei Picenidi CONCHITA SANNINO

 NAPOLI - Un fil rouge, di "stretta rappresentanza" e forse di reciproca convenienza, correva direttamente tra Marco Milanese e la società del Ministero delle Finanze, Sogei, coinvolta nella vicenda della "casa del ministro", e già al centro di sospetti crescenti. È il link che mancava a una partita di giro che non promette nulla di buono. E rischia di svelare - ancora una volta dopo la Anemone story - una vicenda di appalti trattati come favori personali, di commesse e lavori pubblici trasformati in merce di scambio privato. Così come il mistero di quelle cassette di sicurezza appena sigillate a Roma. Non una, ma cinque cassette, tutte appartenenti al deputato Pdl Milanese, sono finite da poche ore sotto sequestro del pm Vincenzo Piscitelli della Procura. Materiale impenetrabile fino a quando la Camera non rilascerà il suo sì, specifico, alla richiesta di autorizzazione per la perquisizione. Che cosa custodivano? Carte, appunti o anche la prova della presunta corruzione?

Gli ultimi segreti dell'inchiesta che travolge Milanese - fin dal 2001 fedelissimo braccio destro del ministro Giulio Tremonti, poi suo consigliere politico, nonché deputato per il quale pende alla Camera la richiesta di arresto trasmessa dal Gip con le accuse di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di segreto - sono (o erano) forse nascosti in quel caveau della Banca del Credito Artigiano a Roma, a due passi dalla sede del Ministero di via XX Settembre.
Ma poiché quei contenitori sono equiparati ad
una pertinenza di attività parlamentare, solo un'autorizzazione dedicata da parte dell'aula di Montecitorio, che si pronuncerà con un voto distinto rispetto all'eventuale esecuzione dell'ordinanza di custodia, potrà consentirne l'apertura alla giustizia. Sempre che qualcuno non ne abbia fatto già sparire il contenuto. Sarà una coincidenza, ma il perito Luigi Mancini, incaricato dal pm, ha già accertato che alcuni ripetuti accessi di Milanese a quelle cassette sono avvenuti a metà dicembre scorso: ovvero subito dopo l'arresto di Paolo Viscione, che già nelle intercettazioni a suo carico, ben note a Milanese, lanciava messaggi.

"Se mi stanno ascoltando è meglio, lo dico io che pezzo di m... è questo. Io voglio uscire da questa storia perché quando vengo ricattato dalla politica, da questo Milanese che si fotte i soldi, io non voglio averci più a che fare". Viscione, imprenditore-faccendiere sotto accusa per una mega truffa da 30 milioni, una volta in carcere, si sarebbe trasformato nella gola profonda della "holding Milanese", l'uomo che racconta di aver riversato sul consigliere del ministro "una milionata di euro cash" nel corso di quattro anni, oltre a lussuose auto, gioielli, orologi d'oro, viaggi. Dopo le sue parole, c'è chi s'affretta a far sparire gioiellini?

Non è l'unica novità che allarga l'orizzonte dell'inchiesta. Emerge ora quel filo rosso che collega direttamente le ombre che avvolgono la gestione della società pubblica Sogei a Milanese. Una connessione importante è ora nelle mani del pm. L'ha fornita un teste, Angelo Lorenzoni, Segretario generale del Pio Sodalizio dei Piceni. Che racconta: "La Sogei ha preso in fitto alcuni importanti locali di nostra proprietà. Due immobili in via del Parione, primo e terzo piano, e poi un salone affrescato, per riunioni o eventi, in via San Salvatore a Lauro". Contratto: 8.500 euro al mese. Ebbene, chi condusse le trattative per conto di Sogei? "Marco Milanese, era lui il loro volto", dice Lorenzoni. Stesso concetto confermato da un'altra importante teste, la dottoressa Fabrizia La Pecorella, alto funzionario di via XX Settembre: "Sì, Milanese era l'uomo di raccordo tra Sogei e il Ministero". Quel filo, faticosamente riavvolto, racconta dunque: c'è Sogei, la società di Information and Communication Technology del Ministero dell'Economia e delle Finanze che elargisce appalti ad affidamento diretto in gran numero (anche) all'impresa Edil Ars.

Quest'ultima, guarda caso, esegue lavori onerosi di ristrutturazione nell'appartamento che sta più a cuore a Milanese: la residenza cinquecentesca al piano nobile di via Campo Marzio abitata (fino a quattro giorni fa) dal ministro Tremonti, ma pagata (sempre 8.500 euro al mese) da Milanese. Quel cantiere di consolidamento e ristrutturazione è costato, testimonianze alla mano, oltre 200mila euro, che però non risultano mai pagati alla Edil Ars: né dal Milanese - come da accordi presi con il proprietario - tantomeno dal ministro, ignaro ospite. È denaro che è stato restituito sotto forma di appalti? Quei lavori nella casa eccellente sono stati saldati con denaro pubblico? Un'ipotesi che gli inquirenti non possono escludere.
(11 luglio 2011)



Sempre più nei guai Marco Milanese (Pdl), l'ex consigliere politico di Tremonti al ministero del Tesoro. Nei suoi confronti è stata emessa un'ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Il provvedimento, emesso su richiesta del pm Vincenzo Piscitelli della sezione Criminalità economica della Procura di Napoli, è stato trasmesso oggi alla Camera dei Deputati per l'autorizzazione all'arresto.

Le accuse contestate sono di corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e associazione per delinquere.


Pagava la casa romana di Tremonti

Tra e novità emerse nelle ultime ore, una che creerà non poco imbarazzo a Tremonti. Milanese pagava, infatti, l'affitto della sua casa romana (ben 8.500 euro al mese).
Il ministro afferma che la lascerà subito e che era solo un ospite di Milanese.
Certo, dopo il caso Scajola e quello della casa di Fini a Montecarlo, è singolare che un altro ministro incappi in una sotria di case.

La richiesta di arresto del Gip di Napoli

La richiesta d'arresto è stata firmata dal gip del Tribunale di Napoli Amalia Primavera, su richiesta del pm Vincenzo Piscitelli ed è stata trasmessa ieri alla Camera, che dovrà pronunciarsi sulla autorizzazione all'arresto.
La misura cautelare è dovuta allo sviluppo delle indagini su una serie di irregolarità in cui fu coinvolto nei mesi scorsi l'imprenditore Paolo Viscione, in relazione alle attività delle sue società, tra cui l'Arteinvest.

Avrebbe rivelato notizie riservate

Milanese, ''in concorso con ufficiali della Guardia di Finanza allo stato non identificati'', avrebbe rivelato a Viscione (anch'egli indagato e ora diventato il 'grande accusatore') notizie riservate sulle indagini svolte dalla stessa Gdf sul suo conto e sulle sue società.
E avrebbe violato, quindi, i doveri d'ufficio inerenti, prima, la sua funzione di aiutante di campo del ministro dell'Economia e, poi, di consigliere politico dello stesso ministro Tremonti.


L'affitto per la casa romana di Tremonti

Milanese avrebbe anche pagato l'affitto dell'abitazione romana del ministro dell'Economia.
In cambio di queste notizie, di interventi volti a ''rallentare'' le indagini (''ponendo in essere iniziative verso gli organi e gli appartenenti alla Gdf delegati all'investigazione'') e della promessa, alla fine, di ''sistemare positivamente ogni cosa'', si sarebbe fatto consegnare da Viscione somme di denaro (secondo l'accusa almeno 450.000 euro in contanti), ma anche orologi di valore, gioielli e auto di lusso come una Ferrari Scaglietti e una Bentley, oltre al pagamento di viaggi e soggiorni all'estero.


Un Capodanno a New York con la portavoce del ministro

Tra i viaggi "estorti" ci sarebbe anche un Capodanno a New York, con la sua compagna Manuela Bravi, portavoce di Tremonti, all'Hotel Plaza dove avrebbero alloggiato anche ''la Ferilli, De Sica e Cattaneo''.


Arrestato anche il sindaco di Voghera

Gli agenti della Digos di Napoli hanno eseguito anche altre due ordinanze agli arresti domiciliari: destinatari il sindaco di Voghera, Carlo Barbieri, e il commercialista Guido Marchese, anch'egli di Voghera, entrambi accusati di corruzione, in concorso con Milanese.


Nomine importanti in cambio di denaro

Milanese, nella sua qualità di consigliere politico del ministro dell'Economia ''e da quest'ultimo delegato alle iniziative di raccordo con la maggioranza parlamentare di governo finalizzate all'individuazione dei nominativi da segnalarsi nelle società controllate dallo stesso ministero'', avrebbe prima promesso e poi assicurato l'attribuzione di nomine e incarichi vari in cambio di ''somme di denaro e altre utilita' in corso di preciso accertamento''.


La vendita di immobili in  Francia

A questo riguardo l'attenzione degli investigatori è concentrata sulla vendita di alcuni immobili posseduti da Milanese in Francia ad alcune persone, tra cui proprio Marchese e Barbieri.
''Le numerose incongruenze relative a tale compravendita - spiega la Procura - hanno consentito di ritenere che Milanese avesse favorito l'attribuzione di incarichi per Barbieri e Marchese in diverse società controllate dal ministero dell'Economia''.

100.000 euro per un consiglio di amministrazione

In particolare la nomina di Marchese (che avrebbe corrisposto somme ''non inferiori a centomila euro'') a componente del collegio sindacale di Ansaldo Breda, Oto Melara, Ansaldo Energia, Sogin e Sace e di Barbieri a consigliere di amministrazione di Ferservizi spa, società controllata dalle Ferrovie dello Stato.


La Procura di Napoli chiede anche l'arresto di Papa (Pdl)

L'iniziativa della magistratura napoletana giunge all'indomani dell'intervento davanti alla Giunta per le autorizzazioni a procedere di Alfonso Papa, altro parlamentare del Pdl per il quale gli inquirenti partenopei chiedono l'arresto.
''La Procura di Napoli non guarda in faccia a nessuno. Carabinieri, poliziotti, guardia di finanza, onorevoli o magistrati sono tutti uguali'', ha detto il procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore rispondendo alle domande dei cronisti a margine di una conferenza stampa indetta per illustrare i risultati di una operazione antidroga.
''Sono maturate contemporaneamente situazioni sulle quali indagavamo da tempo - ha aggiunto Lepore riferendosi alle richieste di arresto per Papa e Milanese - Non credo che la Procura sarà attaccata e resterà isolata, forse ci sarà una reazione.
Saremo accusati di sollevare un polverone come è già stato fatto. Siamo qui pronti a replicare''.  

 

Coinvolto nell'inchiesta P4

Lo scorso 26 giugno Milanese si era dimesso dall'incarico di consigliere politico del ministro dell'Economia Giulio Tremonti, a causa della diversa inchiesta sulla P4 in cui aveva reso testimonianza come persona informata di fatti, per "salvaguardare l'ufficio in un momento così delicato per la stabilità economica e politica del paese - aveva spiegato annunciando le dimisioni- dalle polemiche sollevate da una doverosa testimonianza".

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Quella donna dietro Bisignani

di Gianfrancesco Turano
Si chiama Stefania Tucci, è stata moglie di De Michelis, poi consulente molto stretta del faccendiere al centro dell'inchiesta P4. Esperta di paradisi fiscali off shore, si ritrova in decine di vicende italiane. E di indagini penali
Stefania Tucci ai tempi del matrimonio
con De Michelis
Bella donna con orecchini di brillanti o filo di perle grosse come biglie. Nelle poche foto in circolazione, Stefania Tucci sembra vestire in divisa. Il suo ambiente professionale impone regole di abbigliamento molto formali. Napoletana, 46 anni, ex amica e consulente di Luigi Bisignani, Tucci è esperta di sistemi fiscali internazionali. Mette a disposizione dei clienti reti societarie nei paradisi offshore e buone conoscenze nelle principali piazze finanziarie del mondo.



Eleganza e discrezione hanno fatto di lei un riferimento per quel mondo di affari e politica sfidato dalla Procura di Napoli ancora prima che Henry John Woodcock lanciasse il fenomeno P4. Al momento, per la verità, la sfida è stata quasi sempre favorevole alla signora dagli orecchini di brillanti. "Sono sotto indagine dal 2003", dice Tucci, indicata erroneamente come commercialista: "Il pm è Vincenzo Piscitelli, che si dedica a me da otto anni, salvo una parentesi con un interrogatorio a Roma da Giancarlo Capaldo. Finora ho subito cinque procedimenti. Tre sono stati archiviati o prescritti. Uno è in corso. Uno si è concluso con una condanna a tre anni e tre mesi in primo grado per truffa. Ho chiuso i rapporti con Bisignani nel 2001. Dopo non l'ho mai più incontrato, né sentito. Fra me e lui non c'è una sola intercettazione. Né ho mai avuto a che fare con ufficiali della Finanza".

Niente P4, insomma, per Stefania Tucci. Lo conferma il suo avvocato Grazia Volo, il legale di Cesare Previti, Calogero Mannino, Raffaele Lombardo, Bianca Berlinguer, solo per citarne alcuni: "La mia cliente non è implicata nel processo di Woodcock e non ha ricevuto avvisi di garanzia".

Dal racconto di Bisignani ai giudici napoletani emerge una realtà diversa. Il faccendiere con la tessera P2 e una condanna per Enimont afferma di essersi interessato all'amica per tramite di Alfonso Papa, magistrato napoletano poi passato nei ranghi del Pdl a Montecitorio. La Procura di Nola voleva arrestare Tucci nel quadro del processo Italian Brakes, la società di Palma Campania amministrata da Giuseppe De Martino, partecipata dallo stesso Bisignani e interessata agli appalti delle Fs. Secondo Tucci, l'interessamento di Bisignani non era concordato. In realtà, la liaison affaristica fra i due è durata almeno fino al 2006. Ma procediamo con ordine.

A inizio carriera Stefania Tucci si occupa di consulenza e intermediazione finanziaria e immobiliare con le società del gruppo Finservice. A metà degli anni Novanta incontra Gianni De Michelis, maggiore di lei di 24 anni. L'ex ministro socialista delle Partecipazioni Statali mette da parte le discoteche e sposa la giovane consulente nel 1997. L'anno dopo lei fonda la Regent Promotions con sede londinese a Haymarket e filiale romana in via Montevideo.

Nel 1999 Tucci conosce Bisignani. L'ex dirigente del gruppo Ferruzzi si affida a lei per completare un'operazione immobiliare avviata anni prima, nel 1991. Con i 4 miliardi di lire della liquidazione Enimont, Bisignani rileva una società da Simone Salini. Gli appartamenti, in via Trionfale, sono dentro la Antey, una società schermo. Tucci acquista un'altra scatola vuota in Belgio, la Codepamo, e compra Antey. Poi la società regolarizza gli appartamenti partecipando al primo scudo fiscale del 2001.

L'operazione consente a Tucci di investire parte dei guadagni professionali in quote della Motori Mentali-Incentive. La società di marketing è una creatura di Antonio De Martini, ex seguace del politico repubblicano Randolfo Pacciardi. Fra i soci figura anche Luca Danese, nipote di Giulio Andreotti. "La signora Tucci", dice De Martini, "non ha mai partecipato alla gestione. E' un puro investimento finanziario". "Se potessi, venderei", aggiunge lei.

I rapporti fra Bisignani e Tucci, a quanto lascia intendere lo stesso Bisignani, non si fermano all'aspetto professionale. Fatto sta che il matrimonio della consulente con De Michelis finisce nel 2000, a pochi mesi dal primo incontro con Bisi e a tre anni dalle nozze. L'operazione Codepamo dura il doppio. Al lavoro dal 2000, la società belga viene liquidata soltanto nel dicembre del 2006 al termine dell'operazione sul tesoretto di via Trionfale pagato con i soldi del gruppo Ferruzzi. Secondo Tucci, dopo la fase iniziale Codepamo opera sotto il controllo esclusivo di Bisignani. Lei è già parecchio impegnata dalla raffica di inchieste della Procura di Napoli.

I magistrati cercano informazioni sulle attività estere della consulente nei vari paesi europei dove esistono società o disponibilità bancarie riferibili a Stefania Tucci. Una decina di rogatorie spedite in Svizzera porta all'apertura di un'inchiesta per riciclaggio affidata al procuratore pubblico ticinese Andrea Maria Balerna e chiusa in nulla nel 2005. Stesso esito ha l'ispezione del Serious fraud office inglese negli uffici della Regent Promotions. Ma dato che prevenire è meglio che reprimere, Tucci anticipa eventuali problemi cedendo nel 2006 la sua quota in Regent a Mario Cannizzaro, ex direttore finanziario del Banco di Santo Spirito, l'istituto più amato dal Vaticano al di qua del Tevere, poi incorporato nella Banca di Roma dal duo Pellegrino Capaldo-Cesare Geronzi, con Andreotti regista. Tucci continua a lavorare per Regent. Non da azionista, dice, ma da semplice dipendente. Per colmo di prudenza anche la proprietà della sede di Regent a Roma viene trasferita a un altro soggetto estero, il Langtry Trust dell'isola di Jersey.

Il tentativo seguente di affondare Stefania Tucci è l'inchiesta sulle conversazioni del 2007 fra Silvio Berlusconi che raccomandava alcune attrici all'allora direttore di Raifiction Agostino Saccà. Di quell'indagine rimarrà indimenticabile quel "Lei è amato nel Paese, glielo dico senza piaggeria" di Saccà al premier. Ma l'accordo corruttivo del manager pubblico con Tucci non viene dimostrato.

Niente da fare neppure qualche mese dopo. Nel marzo del 2008, e sempre da Napoli, scoppia il caso dei conti segreti nel Liechtenstein. Ci sono quasi 400 nomi di italiani che hanno nascosto soldi nel Principato "offshore" stretto fra Austria e Svizzera. Il nome di Tucci emerge a proposito del conto di Vito Bonsignore. L'europarlamentare migrato dall'Udc al Pdl è anche imprenditore. La sua Mec puntava a realizzare l'autostrada Orte-Venezia, un affaruccio da 9,5 miliardi di euro. La Regent è consulente di Bonsignore. Tucci è consigliere di amministrazione della Ili (gruppo Mec), incaricata dell'opera. Ma non ha soldi suoi a Vaduz. Di nuovo, ha solo fornito strutture societarie e riferimenti bancari. Quindi, archiviazione.
L'indagine più consistente, e anche l'unica che finora si sia conclusa con una condanna, riguarda gli appalti della Regione Campania, guidata al tempo da Antonio Bassolino. In ballo c'erano 2,5 milioni di finanziamento pubblico a una società di marketing turistico (Cosmofilm) che doveva lanciare il Man (Museo aperto Napoli) e che era stata coinvolta nello scandalo sulle spese pazze della sede regionale a New York: 500 mila euro buttati nell'affitto di un piano del Kiton Building, l'edificio dello stilista Ciro Paone a sei isolati da Central park. L'appello per questo procedimento non è stato ancora fissato a distanza di oltre due anni dal primo grado. Del resto, serve a poco. La prescrizione è sicura.

Dato, però, che la costanza non difetta ai magistrati napoletani, ecco arrivare un nuovo avviso di garanzia alla fine del 2010. Come sempre, si parla di problemi fiscali, fatture false per milioni, società e conti esteri. Qui i clienti di Tucci sono più glamour dei soliti politici e burattinai di politici. L'inchiesta riguarda i fratelli Fiacchini. Uno dei due è conosciuto con il nome d'arte di Renato Zero. In memoria del glorioso hit-single "il Triangolo", il suo conto alla Monégasque de Banque si chiamava Scaleno.
Riusciranno stavolta i magistrati a incastrare la dama di brillanti? C'è da dubitarne. La geometria non è un reato.

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