Il Professore : ... ... Giova ricordare , peraltro , IL Che Personaggio Il proprietario del bene confiscato , in partiture OCCASIONE delle elezioni sosteneva Amministrativo Il Candidato della lista "Rinascita Isolana " Rosario Rappa .

domenica 9 gennaio 2011

22 milioni di euro sequestrati al clan Madonia – Di Trapani

22 milioni di euro sequestrati al clan Madonia – Di Trapani

Operazione dei Ros a Palermo

22 milioni di euro sequestrati al clan Madonia – Di Trapani



15 novembre 2010 -  I carabinieri del Ros hanno messo al segno un altro duro colpo alla mafia: beni per 22 milioni di euro, infatti, sono stati sequestrati al clan Madonia-Di Trapani del mandamento di Resuttana, a Palermo.
Sono stati sottratti immobili, imprese ed anche un cavallo da corsa.
Dando esecuzione ai provvedimenti disposti dal Tribunale del capoluogo siciliano, su richiesta del Dipartimento di Criminalità economica della procura, il sequestro è scattato a conclusione di un percorso investigativo che, dopo aver portato all’arresto degli esponenti di spicco dell’organizzazione criminale, compresi i figli del defunto capo mandamento Francesco Madonia, ha consentito ai militari del Raggruppamento operativo speciale, coordinati dai magistrati palermitani, di individuare e sottoporre al provvedimento aziende edili, attività commerciali, quote societarie, abitazioni, terreni, numerose auto e anche un cavallo da corsa di nome “Irak”.

Operazione Rebus/Nel dettaglio i beni sequestrati ai Madonia

Case, terreni, aziende, fabbriche, negozi e un cavallo


15 novembre 2010 -  La cosca dei Madonia-Di Trapani è stata protagonista dell’ascesa dei corleonesi ai vertici di Cosa nostra, tanto che i suoi principali esponenti sono stati giudicati colpevoli degli omicidi di Pio La Torre, del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, (nella foto in alto) dell’imprenditore Libero Grassi e di Antonio Cassarà, nonché del piccolo Giuseppe Di Matteo.
I provvedimenti di sequestro, nell’ambito dell’operazione “Rebus”, hanno interessato un vasto patrimonio nel capoluogo siciliano e nei comuni di Cinisi, Carini e Isola delle Femmine colpendo beni riconducibili ai fratelli Madonia e di  quelli dell’imprenditore Vincenzo Sgadari e di Massimiliano Lo Verde, già raggiunti dagli ordini d’arresto emessi il dicembre 2008 e il 3 aprile 2009, per associazione  intestazione fittizia di beni e altri reati.
Le avevano documentato il perdurante ruolo di vertice famiglia Madonia nelle strategie di Cosa nostra e  della gestione del mandamento di Resuttana, in cui si avvicendati Giovanni Bonanno, Diego Di Trapani e  Genova, designati da Antonino Madonia, in accordo con  Lo Piccolo.
Era stato accertato come prima Francesco morto il 9 marzo 2007, e i figli Antonino, Giuseppe Salvatore, nonché il cognato di quest’ultimo Nicolò Trapani, benché detenuti e sottoposti al regime del 41  avessero continuato a dirigere il clan tramite i periodici colloqui con i congiunti e un fitto scambio di corrispondenza.
Le indagini avevano inoltre evidenziato dell’imprenditore Sgadari nelle dinamiche della strategia  mafiosa, sia per aver svolto il ruolo di intermediario soluzione di una controversia tra Bonanno e Francesco Di  per la gestione della cassa comune della famiglia di Resuttana, sia per essere stato un tramite attraverso il quale i latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo, a cui comunicavano proprie direttive all’intera organizzazione criminale.
L’indagine patrimoniale, oltre verificare l’entità del patrimonio riconducibile alla famiglia mafiosa, ha consentito di delineare economico-imprenditoriale, alimentato con conferimenti  “sospetta provenienza” nel settore edile, con la realizzazione di fabbricati a uso privato o la costituzione di imprese costruzione per la cessione di immobili, e in  commerciale, mediante la realizzazione di alcuni negozi di vendita al dettaglio.
Accertata anche l’adozione da parte indagati di ricorrenti accorgimenti finalizzati a tutelare patrimoni dell’organizzazione, quali la fittizia intestazione di immobili a incensurati.
I carabinieri del Ros hanno individuato i prestanome del patrimonio occulto delle Madonia-Di Trapani, e la disponibilità Sgadari di complessi residenziali, fabbricati rurali, magazzini e locali commerciali.
In definitiva è stata documentata dettagliatamente le modalità di accumulazione di
ingenti patrimoni illeciti da parte della cosca di Resuttana, confermandone la pervasività nell’economia legale.
L’individuazione dei patrimoni illeciti resta, pertanto, uno degli obiettivi principali della procura distrettuale di Palermo.
Tra i beni sottoposti a sequestro nei confronti di Michele Di Trapani il capitale sociale della “In.tra.l. industria trasformazione legno”, di Giuseppina Di Trapani ”Giuseppina e c. s.n.c.”, con sede a Cinisi; immobili a Palermo in via Casalini, e a Cinisi in via Orlando; un terreno a Cinisi, in contrada Margi-Bonanno; a Vincenzo Sgadari sottratti il capitale sociale della Edilmigliaccio s.r.l. con sede a Palermo; le quote societarie della Pietro Sgadari s.a.s. con sede a Palermo; villino a Carini; villino a Palermo, in via Quasimodo e un cavallo da corsa di nome Irak.


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I particolari dell'operazione Rebus

Gli affari del clan gestiti dal 41 bis

15 novembre 2010 -  Le indagini che hanno condotto oggi al sequestro di immobili e aziende per 22 milioni di euro, nell’ambito dell’operazione “Rebus” dei Carabinieri del Ros, hanno documentano il perdurante ruolo di vertice della famiglia mafiosa palermitana dei Madonia nelle strategie di Cosa nostra e l’evoluzione della gestione del mandamento di Resuttana, in cui si erano avvicendati Giovanni Bonanno, Diego Di Trapani e Salvatore Genova, designati da Antonino Madonia, in accordo con Salvatore Lo Piccolo.
Ma, soprattutto, è stato accertato come prima il capo mandamento di Resuttana Francesco Madonia, morto il 9 marzo 2007, e successivamente i figli Antonino, Giuseppe e Salvatore, nonchè il cognato di quest’ultimo Nicolò Di Trapani, benchè detenuti e sottoposti al regime del 41 bis, avessero continuato a dirigere il clan tramite i periodici colloqui con i congiunti e un fitto scambio di corrispondenza.
I beni appartenenti ai boss mafiosi e che sono stati dichiarati falliti possono tornare, grazie ai prestanome, ai legittimi proprietari. È quanto emerge dall’ordinanza di sequestro emessa dal Tribunale Misure di prevenzione di Palermo, che oggi ha portato al sequestro di beni per un valore di oltre 22 milioni di euro riconducibili al clan mafioso Di Trapani-Madonia di Palermo.
In particolare, secondo i magistrati, Massimiliano Lo Verde, ‘picciotto‘ di Cosa nostra, arrestato il 28 novembre del 2008 per concorso esterno in associazione mafiosa, prendendo ordini dal boss mafioso Salvatore Madonia, detenuto al ‘41 bis‘, il carcere duro, si sarebbe intestato alcuni beni del boss, come Bar Sofia e altri immobili, “intestandosene fittiziamente la relativa titolarità, anche attraverso il riacquisto di quelli provenienti da procedure fallimentari instaurate nei confronti dell’esponente mafioso Di Nicolò Trapani”, scrivono i magistrati nell’ordinanza di sequestro.
Per i giudici del Tribunale Misure di prevenzione è “sicuramente condivisibile il giudizio dell’autorità giudiziaria sull’incompatibilita” tra i redditi dichiarati da Lo Verde e dal suo nucleo familiare e l’entità dei mezzi finanziari impiegati per acquistare il Bar Sofia”. L’investimento, effettuato nel settembre 2007, ha richiesto l’impiego di 90.000 euro, “spesi senza ricorrere a contrazione di prestiti o utilizzando i proventi di disinvestimenti immobiliari”.
Quindi per i magistrati è “lecito presumere il ricorso a fondi di natura illecita, tenuto conto dei risultati degli accertamenti sulla capacità economica del nucleo familiare di Lo Verde nel periodo di riferimento (2006-2008)”.
Come scoperto dai Carabinieri del Ros, massimiliano Lo Verde “ha dichiarato un reddito da partecipazione di 6.629 euro sofferto da societa’ e/o impresa nella quale deteneva quote, non contabilizzato poichè non è altrimenti evincibile il suo ripianamento”. Per il biennio 2006-2007 il nucleo familiare di Lo Verde “ha basato il sostentamento su redditi dichiarati complessivamente solo da quest’ultimo e dal fratello Francesco”, scrivono i giudici di Palermo.
Per i magistrati delle Misure di Prevenzione, “nel periodo di interesse Lo Verde ha sicuramente condotto dei negozi giuridici di valore sproporzionato all’entità delle sue entrate finanziarie, tenuto conto anche della sua giovane età”. Questa “sperequazione vale a gettare un’ombra di sospetto sulle acquisizioni patrimoniali ed i valori finanziari entrati nel patrimonio del Lo Verde nel periodo di riferimento”. “Analogo discorso non può farsi per i beni intestati al padre ed alla madre” di Lo Verde.


http://www.youtube.com/watch?v=MnJc9hJxfIo&feature=player_embedded






AEROPORTI: WIND SHEAR, ENAC "STOP POLEMICHE, ORDINEREMO INSTALLAZIONE"

17 novembre 2010 ore 19,30
PALERMO (ITALPRESS) –

“Aspettiamo solo le decisioni dell’Enav. Intanto il sito della ex caserma Nato di Isola delle Femmine rimane in concessione all’ente in modo che, quando la sperimentazione dara’ i risultati auspicati, il congegno sara’ certificato dall’Enac e quindi diventera’ obbligatorio.

La sua installazione a quel punto verra’ ordinata, dall’ente che presiedo, in base alla legge vigente e a pena di commissione di reato di attentato alla sicurezza nei trasporti”. Il presidente dell’Ente nazionale per l’aviazione civile Vito Riggio non ha esitazioni sul sito in cui dovra’ essere installata l’antenna contro il wind shear.

Da mesi infuriano le polemiche tra l’Enac e l’Enav da una parte e il Comune palermitano di Isola delle Femmine dall’altra, nel cui territorio il radar per lo scalo Falcone Borsellino di Palermo dovrebbe essere installato.

“Ho letto una quantita’ di inesattezze alle quali non ho voluto dare risposta, ma e’ stato passato il segno e adesso voglio dare il mio punto di vista”,

dice all’ITALPRESS Riggio.

“In primo luogo – afferma – la scelta del sito dove collocare l’antenna l’ha fatta l’Enav, societa’ che per legge gestisce la navigazione aerea in Italia e responsabile della sicurezza della navigazione”, per tale motivo “qualunque suggerimento riguardo a possibili spostamenti non ha alcun senso logico ne’ giuridico se non e’ accolto dall’Ente nazionale per l’assistenza di volo, il quale ha dimostrato grandissima buona volonta’ visitando diversi luoghi alternativi proposti e trovandoli tutti inadeguati o impossibili per il tipo di lavoro che si deve fare”.

 “E’ quindi ridicolo continuare a proporre siti alternativi in modo pretestuoso o peggio fare riferimento a una mia personale ostinazione – continua il presidente dell’Enac -. Io non sono ostinato, ho il dovere di difendere le prerogative legislative della societa’ che gestisco.

Se accettassimo che incompetenti in materia possano mettere in discussione le decisioni dell’Enac metteremmo a rischio la sicurezza dei cittadini, valore che e’ attribuito all’ente che ho il privilegio di presiedere”. “Per cortesia istituzionale – sottolinea ancora Riggio – ho mandato il parere dell’Istituto Superiore di Sanita’ sulla installazione dell’antenna radar al sindaco di Isola, al presidente della Provincia, e al presidente della Regione, ma da questi politici non mi aspetto alcun parere perche’ non e’ compito loro interferire con la sicurezza del volo.

Il presidente dell’Enac viene eletto con il parere delle Camere e del Presidente della Repubblica io parlo con le Regione per cortesia istituzionale, ma non parlo coi sindaci, e non sara’ ne’ un sindaco ne’ un deputato a distogliermi dal garantire la sicurezza del volo in Italia”. E conclude: “Non c’e’ nessun pericolo per la salute, come ha ribadito il ministero della Salute, unico organo competente in materia, i cui pareri valgono per tutto il Paese senza riserve municipalistiche, che stanno facendo ripiombare l’Italia nello storico anarchismo che impedisce ogni crescita e ogni avanzamento civile”.
Da Isola delle Femmine rigettano “le accuse rivolte alla popolazione ed alle istituzioni locali di essere responsabili della mancanza di sicurezza dello scalo di Palermo”.

Gaspare Portobello, primo cittadino del comune palermitano in cui dovrebbe essere installata l’antenna contro il wind shear a servizio dell’aeroporto Falcone Borsellino, ribadisce la posizione dell’Amministrazione. “Le nostre azioni sono state mosse prima di tutto nell’interesse della salute dei cittadini, in assenza di dimostrazioni scientifiche che escludano effetti nocivi delle onde elettromagnetiche che investirebbero la popolazione per 24 ore al giorno – continua Portobello -. In base al principio di precauzione, non si sarebbe nemmeno dovuto pensare di installare un’antenna simile in prossimita’ di un centro abitato”.

“Abbiamo proposto all’Enac altri siti che non coinvolgessero il centro abitato – conclude Portobello -, li abbiamo informati di nuove tecnologie che in altre parti del mondo hanno permesso di installare la strumentazione dentro il perimetro aeroportuale, ma l’ente non ha mostrato alcuna disponibilita’ a discutere soluzioni alternative”.

(ITALPRESS).

http://www.italpress.com/sicilia/9788/aeroporti-wind-shear-enac-stop-polemiche-ordineremo-installazione-

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